martedì 1 febbraio 2011

Risposta all'editoriale del Gazzettino (di Gianni Vianello)

Gentile Direttore, mi consenta di replicare al suo editoriale di domenica 23 gennaio perché la sua tifoseria per un soggetto che smargina gagliardamente tra la sfera pubblica e privata ha aumentato il mio disorientamento.  Già l’affermazione che il Signor Silvio Berlusconi possa legittimamente avere la vita sessuale che preferisce, mi ha lasciato perplesso. L’assunto farebbe pensare che ogni barbone che s’infila le mani dentro i pantaloni davanti alle scuole, così come  quel  padre perverso che  spia la figlioletta sotto la doccia, possano esser giustificati. Non è proprio così!  Talune trasgressioni purtroppo la debolezza umana le produce, ma la nostra cultura le condanna e tantomeno le assurge a modello. 

Dare legittimità alle stravaganze sessuali di Silvio Berlusconi, attagliandole all’indole birbantesca dell’imprenditore piuttosto che al Presidente del Consiglio è molto fuorviante.
 Nel caso di specie, la tolleranza per evidenti alterazioni comportamentali in nome del libertinismo, non può prevaricare il bisogno di riconoscersi in una persona decente a capo del Governo.  Se usiamo il garantismo per salvare un modello perché ci va bene così, diciamolo subito senza ricorrere a pretestuosi artifizi.  D'altronde l’inerzia reattiva è quanto la stampa estera ci addebita, ma  nel suo editoriale viene derubricata a “commedia all'italiana”.
Poco rileva che altri personaggi pubblici abbiano fatto quasi altrettanto e non siano incorsi al pubblico ludibrio. Le scappatelle dei nostri uomini, in genere hanno vita breve per due ordini di cose: la prima è che la presunzione di colpevolezza delegittima l’arroganza e lo status dell’inquisito favorendo l’indagine. La seconda consiste nella generale impossibilità di schierare a propria difesa una massa di parlamentari subordinati e una falange di avvocati mirata a intralciare il decorso delle procedure.
Nelle sue pacate riflessioni, Signor Direttore, si colgono le doglianze per taluni vizi del nostro Presidente ma su tutto emerge l’avversione per l’indagine. Lei si chiede chi altro abbia subito tanto accanimento dalla Magistratura piuttosto che chiedersi chi altro abbia avuto mezzi e intelligenze per fuggire ai processi.  In buona sostanza Lei, dopo aver toccato con abilità e indulgenza i vari momenti di superamento di quei limiti che comunemente definiscono la decenza, propone ai lettori l’interrogativo se sia preferibile che  la Magistratura ricerchi con ogni mezzo la verità,  oppure sia giunta l’ora di smetterla con una irrituale “caccia all’ uomo”.  In fine Lei chiede pubbliche risposte prima che sia troppo tardi. E qui la domanda gliela pongo io: prima che accada cosa?

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