Stasera si apre al Lido di Venezia la 68ma Mostra Internazionale di Arte Cinematografica: nelle righe che seguono vorrei brevemente illustrare ai visitatori che cosa si troveranno di fronte, non già per quanto riguarda i film o la mondanità (per quello ci sarà tempo), bensì sul piano meramente topografico. Premetto che non intendo fare il piagnone né l’indignato di professione: penso però che questa sia una storia per vari versi esemplare di come vengano amministrati tanti nostri comuni (di ogni colore politico) e di come vengano talora gestiti il paesaggio e il patrimonio.
Come molti sanno, il Lido è un’isola stretta e lunga (12 km per circa 16000 abitanti), staccata da quelle che compongono il centro storico di Venezia, e allineata con la penisola del Cavallino e l’isola di Pellestrina a chiudere la Laguna verso il mare. Il fatto che sia la più vicina “porta” sull’Adriatico, raggiungibile in pochi minuti di vaporetto da San Marco, l’ha resa da sempre la spiaggia di Venezia per antonomasia; chi ricordi, per via di Thomas Mann o di Visconti, lo sfortunato soggiorno di Aschenbach in La morte a Venezia, ha in mente il quadro sociale ed economico del Lido Belle Epoque: i grandi alberghi, la clientela internazionale, poi gli stabilimenti, le sale giochi, e nel 1932 la decisione di collocarvi la sede della Mostra del Cinema – decisione presa peraltro da Giuseppe Volpi conte di Misurata, già distintosi per la ferocia in qualità di governatore della sempre attuale Tripolitania dal 1922 al 1925 (a questo losco personaggio, che fu anche un importante ministro del fascismo, e che venne sepolto ai Frari con la benedizione del futuro Giovanni XXIII, sono tuttora intitolate le Coppe per i migliori attori).
La Mostra, nata sulle terrazze dell’Hotel Excelsior, è ospitata dal 1938 in un Palazzo situato non lontano dal centro dell’isola, un edificio storico dalle venerande memorie, ma rivelatosi presto insufficiente rispetto ai bisogni del pubblico (fu ampliato una prima volta nel 1952), e dimostratosi a partire dagli anni ’90, quando pure furono allestite delle ulteriori appendici, del tutto sottodimensionato rispetto al richiamo dell’evento nonché bisognoso di restauro anche in considerazione della capricciosa meteorologia settembrina (rimase memorabile, l’anno scorso, il banale acquazzone che allagò la sala stampa). Di qui l’idea di costruire un nuovo, più adeguato Palazzo del Cinema: dopo un primo tentativo nel 1991 (il concorso indetto dalla Biennale fu vinto dall’architetto spagnolo Rafael Moneo, ma poi al Comune mancarono i soldi e non se ne fece più nulla), nel 2004 la Fondazione di Venezia bandì un concorso internazionale, che fu vinto dallo studio 5+1AA Femia-Peluffo con un progetto che prevedeva una grande sala in superficie (denominata “il Sasso”) e altre tre sotterranee. L’idea venne guardata con particolare favore dal governo Prodi, che nel 2006 inserì il progetto nell’ambito degli interventi per celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia.
Per eseguire un progetto di tale ambizione ci vogliono però dei quattrini, oltre 100 milioni di euro. Il governo nazionale si dichiara disposto a metterne 40, demandando agli enti locali il reperimento dei restanti. A quel punto il Comune, guidato dal filosofo Massimo Cacciari, si lancia in un’operazione immobiliare doppiamente vantaggiosa: decide di acquistare dall’ULSS 12 il vecchio Ospedale a mare del Lido, per dismetterlo e venderlo (lasciando in piedi alcune attività di prima necessità o di eccellenza, dai servizi di radiologia ai trattamenti di talassoterapia), facendo in modo che con il ricavato la ULSS finanzi il nuovo grande ospedale di Mestre (cattedrale che meriterebbe un capitolo a parte: chi è interessato a questo luminoso esempio di “project-financing” alla veneta può leggere la recente inchiesta dell’Espresso) e il Comune stesso contribuisca a finanziare il limitrofo Palazzo del Cinema: si parla di «valorizzazione dell’area, rilancio della vocazione culturale e turistico-ricettiva».
Poiché però con l’entrata in ballo dell’Ospedale anche i protocolli d’intesa vanno riformulati e risottoscritti, si crea una momentanea stasi, cui il governo Prodi (siamo nel novembre 2007) pone rimedio nel modo notoriamente più efficace per “semplificare l’attività amministrativa”, “snellire i procedimenti” e scavalcare la torpida prassi burocratica: qualifica il “Palacinema” come “grande evento”, e s’impegna a nominare un commissario straordinario. Questo è il passo-chiave di tutta la vicenda, ed è (torno a dirlo) targato Prodi-Rutelli, non Berlusconi. Pochi mesi dopo, appena rientra in carica il Cavaliere, la fabbrica del Palazzo del Cinema riceve un impulso inatteso: il 28 agosto 2008, dinanzi a un fosso vuoto destinato a contenere le fondamenta, si posa la prima pietra in una solenne cerimonia alla presenza di Cacciari, del presidente della regione Giancarlo Galan e del neo-ministro Sandro Bondi: tutti lieti e sorridenti, per il 2011 sicuramente ce la faremo. Berlusconi emana una serie di ordinanze che scavalcano i Piani regolatori del Comune, il Comune medesimo mostra la buona volontà abbattendo la storica pineta del Lido, dove passeggiarono fior di divi e di cittadini (132 alberi che il progetto del Palacinema non suggeriva in alcun modo di demolire), e dulcis in fundo (marzo 2009) arriva anche il commissario straordinario.
Una persona competente: si tratta infatti del dr. Vincenzo Spaziante, ex-collaboratore di Agazio Loiero alla Sanità calabrese, ma soprattutto uomo di fiducia di Bertolaso alla Protezione Civile, stretto consocio dei più noti Mauro della Giovampaola e Fabio De Santis, pesantemente coinvolti pochi mesi fa nell’inchiesta sull’affaire Maddalena – L’Aquila, e beneficiari all’epoca (a quanto dice l’accusa, ma le intercettazioni lasciano poco spazio ai dubbi) di sapide notti con escort d’alto bordo presso l’hotel Gritti sito proprio in Venezia. Ma nel 2009 tutto questo è ancora al di là da venire, e Spaziante accentra nelle proprie mani poteri cospicui: soprattutto, salva le forme convocando una Conferenza dei Servizi che fa presiedere a un rappresentante della Regione, ma la cui composizione e il cui orientamento di fatto controlla. Tale Conferenza ha poi la facoltà di operare senza dover obbedire alla Conferenza per la Salvaguardia di Venezia (istituita nel lontano 1973): può decidere in piena autonomia per “la realizzazione di ogni altro intervento nella medesima isola del Lido, territorialmente, urbanisticamente, ambientalmente o funzionalmente correlato, anche su proposta di soggetti privati”. Una visione olistica, insomma.
Nel frattempo le acque – è il caso di dirlo – si sono mosse: nel 2007 la società immobiliare EstCapital, proprietà di Gianfranco Mossetto (ex assessore alla cultura della giunta Cacciari, sul quale torneremo tra un attimo), e di fatto – pecuniariamente – legata alle medesime imprese che stanno già lavorando a caro prezzo all’altra grande opera di Venezia, il Mose (una delle cui bocche di porto dista peraltro pochissimo dalla zona in oggetto), acquisisce tramite il fondo “Real Venice” i due grandi alberghi del Lido (l’Excelsior e il Des Bains), il lungomare che li collega (quello sul quale Aschenbach fece la sua prima passeggiata al Lido), nonché il Forte Malamocco, storica piazzaforte ottocentesca degli Austriaci, protetta da un vincolo della soprintendenza.
Nel settembre 2009 la predetta Conferenza dei servizi autorizza EstCapital ad avviare tutti i suoi grandi progetti: un hotel 5stelle lusso (Excelsior) e un residence (Des Bains) negli alberghi storici; un villaggio turistico di 32 villette dentro il pur vincolato Forte Malamocco (piscina nella piazza d’armi? cucine nei depositi di munizioni? la Soprintendenza acconsente benevola). In più, i criteri del bando per l’Ospedale a mare vengono concepiti in modo tale che alla gara si presenta una sola ditta, puta caso EstCapital. In poche settimane Spaziante firma, tutto va a gonfie vele, tranne che per i comitati di residenti che, già deprivati della pineta, temono fortemente per l’avvenire del resto dell’isola. Ne hanno ben donde.
Il 2010 è l’anno delle grane. Prima grana: EstCapital intende tirare su nell’area del Parco della Favorita un centro commerciale e residenziale con torri: ma tale intento cozza irrimediabilmente contro la presenza di un piccolo aeroporto à coté. Seconda grana, più grave: si scopre un profondo quanto prevedibile inquinamento da rifiuti tossici nella zona dell’ex-ospedale (costo della bonifica: 10 milioni); vi chiederete: nessuno aveva verificato? nessun progettista, nessun ufficio del Comune aveva analizzato il terreno di un ospedale prima di venderlo? e a Santa Giulia a Milano, qualcuno aveva guardato? Terza grana: si scopre amianto in quantità nel terreno destinato al nuovo Palacinema. Chi si farà carico di queste costose bonifiche?
EstCapital, che vede i suoi pingui ricavi immobiliari a serio rischio, minaccia di ritirarsi senza pagare un centesimo, a meno che non le si concedano delle compensazioni, e segnatamente: a) una nuova maxi-darsena per yacht di lusso davanti alla spiaggia libera di San Nicolò (1500 posti barca, yacht club, ristoranti, negozi, su una superficie artificiale analoga a quella dell’isola della Giudecca); b) il cambio d’uso definitivo del Monoblocco, che – obliterati i residui padiglioni di radiologia e talassoterapia, peraltro restaurati di recente e quindi tutt’altro che votati a un inevitabile smantellamento – andrà semplicemente abbattuto e diventerà sede di appartamenti turistici e di un centro commerciale e centro benessere. 81 milioni e affare fatto, 32 all’ULSS e 49 al Comune (di questi ultimi ad oggi 37 già spesi per il solo fosso delle fondamenta, parzialmente bonificato).
È una proposta che il Comune non può rifiutare: e infatti il 23 luglio scorso il sindaco Giorgio Orsoni, che in campagna elettorale aveva pubblicamente promesso il contrario, firma. Orsoni si trova con le spalle al muro, perché i milioni di EstCapital sono già messi a bilancio, e rinunciarvi vorrebbe dire far fallire il Comune ed essere commissariati (tanto per far capire di quali cifre stiamo parlando: da un nuovo Palacinema siamo giunti a mettere in discussione l’esistenza stessa del Comune di Venezia). Forse il fallimento e il commissariamento poteva essere un’opzione spettacolare, un segnale forte per denunciare il pasticcio del Lido (la cui responsabilità ricade peraltro interamente sulla giunta del filosofo Cacciari: pensateci, la prossima volta che lo vedete in tv), ma Orsoni sceglie diversamente: il coraggio uno, se non ce l’ha, non se lo può dare. Anche i circostanziati suggerimenti di autorevoli personalità, come il pericoloso bolscevico Francesco Giavazzi che esorta a evitare lo scempio racimolando i denari altrove, rimangono lettera morta.
Ecco perché oggi al Lido gli alberi non ci sono più, il “Des Bains” di Aschenbach è chiuso da anni (e non sarà più un albergo), il vecchio Palazzo del Cinema è stato restaurato in tutta fretta per renderlo minimamente adeguato alla Mostra di quest’anno, e al suo fianco si apre una voragine che ha inghiottito per ora 37 milioni di euro: su di essa, a quanto dice lo stesso Galan (che aveva pomposamente inaugurato il fosso da governatore, e ora garibaldinamente lo richiude da ministro), non sorgerà più nulla, o al più una singola sala (quella in superficie), non certo quel faraonico Palacinema per il quale non ci sono più i soldi né le condizioni. Anche questa scelta di interrompere, se verrà portata in fondo, avrà i suoi prezzi: l’impresa costruttrice (la potente Sacaim), in caso di mancata realizzazione dell’opera sarebbe pronta a chiedere al Comune un risarcimento di 50 milioni di euro, che avrebbe – stando alle apparenze – ogni titolo per esigere.
In conclusione, il progetto di Cacciari, di Galan e di EstCapital ha portato al fallimento dell’obiettivo principale, e alla cementificazione collaterale (in parte ancora da venire, ma già irrevocabilmente dcisa) di buona parte della lingua di terra che si chiama Lido, in nome di uno sviluppo turistico d’alto bordo, completamente immemore non solo delle esigenze degli abitanti, ma anche della minima tutela del paesaggio lagunare. Colpisce in modo particolare – specie ora che si parla di crisi e di tasse sugli yacht – il progetto della darsena per VIP più grande d’Europa, così come la proliferazione di “resorts” turistici del tutto inaccessibili se non ai magnati russi o sauditi.
Il caso in oggetto è istruttivo perché non nasce dal nulla, ma è la spia di un fenomeno più ampio. Il citato Gianfranco Mossetto, che da questa vicenda uscirà ricchissimo giacché l’edificazione e la vendita dei terreni del Lido renderà alla sua EstCapital tre volte l’investimento iniziale (i calcoli sono di Giavazzi), non è stato solo l’assessore alla Cultura di Cacciari dal ’93 al ’97: è stato anche uno stimato docente di Scienze delle Finanze presso l’università Ca’ Foscari, dove si fregia di aver tenuto il primo insegnamento italiano di Scienze del Turismo. Dunque è una persona che sa cosa sta facendo, e persegue un chiaro disegno di sfruttamento turistico della città: “scientifico” oserei dire.
Non è per mera deformazione professionale che insisto sui risvolti accademici, ma perché ritengo che la posizione della classe intellettuale, in questo quadro come in altri, sia decisiva: dall’università Ca’ Foscari (meglio: dalla Facoltà di Economia di Ca’ Foscari) provengono sia Mossetto sia il sindaco Orsoni, mentre allo IUAV (l’Istituto Universitario di Architettura, l’altro prestigioso ateneo veneziano) insegnava Cacciari (e, in tempi più remoti, il ministro Brunetta). Da Ca’ Foscari non è venuto per ora alcun parere ufficiale sulla vicenda del Lido (si dice anzi che la medesima EstCapital potrebbe aggiudicarsi il succulento appalto per la residenza universitaria di Santa Marta), e si levano solo le voci dei singoli, per quanto autorevoli come quella dello storico Gherardo Ortalli, ex presidente di Italia Nostra. Invece Amerigo Restucci, rettore dello IUAV e consigliere di amministrazione della Biennale, si è dichiarato sin dal principio assai perplesso sul progetto del nuovo Palazzo del Cinema, e ora invoca pubblicamente la cessazione del regime di commissariamento. E’ proprio all’interno dello IUAV che si registrano le più forti voci critiche (e consapevolmente critiche) in una intelligentsija altrimenti largamente assuefatta: penso all’urbanista Edoardo Salzano, al cui libro sullo scandalo del Lido queste pagine sono largamente debitrici; penso agli studenti di Pianificazione Urbanistica asserragliati a Ca’ Tron, i quali nell’intento di mantenere aperta la loro bella sede sul Canal Grande (condannata da un’improvvida decisione alla chiusura e alla vendita ai privati) tengono vivo il dibattito su questioni civiche di alto profilo, con incontri settimanali su problemi non solo veneziani; penso a Stefano Boato, a Maria Rosa Vittadini e agli altri docenti che partecipano a dibattiti, incontri, piccoli documentari sui molti progetti che assediano la città.
Perché al di là del Lido, Venezia è a tutti gli effetti una città assediata: dal mega-progetto noto come “Veneto-City”, o “Quadrante di Tessera”, che cementificherebbe con edifici privati e parcheggi (per quali abitanti?) 15 kmq di terra nella zona dell’aeroporto, a detrimento di arie, acque e luoghi, e a tutto beneficio di una speculazione edilizia che nemmeno in Albania. Dall’incombere di una “sublagunare” che sconcerebbe la laguna, le falde acquifere, e intere zone della città per poter creare una inaudita e pericolosa metropolitana sotto l’acqua. Dal progetto demenziale di una TAV che dovrebbe passare in trincea nella gronda lagunare, con i rischi evidenti per la stabilità di tutto il territorio (per ora è tutto fermo solo perché Trenitalia è in difficoltà, ma nessuno sembra chiedersi se non valga la pena di raddoppiare o migliorare le linee esistenti, né quali persone s’intenderebbe far viaggiare sui binari ultramoderni da Kiev a Verona, là dove attualmente il traffico è irrisorio. Dalle enormi navi da crociera che troneggiano verso sera nel Canale della Giudecca fino a sfiorare San Giorgio e Palazzo Ducale (la Venezia terminal passeggeri sta per costruire altre otto banchine, in vista di ulteriori 20-25 mila turisti al giorno). Dal ridicolo di una nuova “Venice Gateway”, mostruosa “porta monumentale” alla città (completa di alberghi e centri commerciali, che pensate) disegnata dall’architetto Gehry e pronta a costare 17 milioni di euro a tutto beneficio della SAVE, la famelica società di gestione dell’aeroporto che è a monte anche di Veneto City. Dallo stesso Mose, che sta compromettendo in modo irreversibile l’intero ecosistema della Laguna di Venezia in nome di un beneficio assolutamente incerto, e in spregio di soluzioni ben più economiche e sostenibili (le paratoie a gravità, per esempio) che però sfuggivano al controllo del potentissimo consorzio Venezia Nuova – il quale non a caso è in società con Mossetto e ha recentemente ricevuto per il Mose dal Comitatone ministeriale qualcosa come 630 milioni di euro (per capire le proporzioni: per la manutenzione ordinaria di Venezia il sindaco Orsoni pare sia riuscito a spuntare, dopo un’epica battaglia, 50 milioni in due anni).
Nonostante (o forse proprio a causa di) molti anni di amministrazione di centrosinistra, ora come non mai la città sembra in mano alle lobbies private dei costruttori, la mano pubblica ha perso voce in capitolo salvo la facoltà di accondiscendere compiacente a una serie di “interventi per la valorizzazione e lo sviluppo” (quasi sempre legati a un facile immobiliarismo) e di “eventi” (parola magica che assessori, rettori e consigliori pronunciano ormai quotidianamente, fiaccando la resistenza di quanti preferirebbero che tanto le strutture cittadine garantissero piuttosto un decoroso funzionamento ordinario). Tutto è volto a monetizzare il capitale di prestigio che Venezia indiscutibilmente possiede sul piano internazionale: e così si fa cassa con i cartelloni pubblicitari che da anni ormai coprono Piazza San Marco e il Ponte dei Sospiri, si manda un elicottero turistico a sorvolare la città per consentire le foto dall’alto (lo stesso avviene sulle cascate del Niagara); e ora anche Benetton – già beneficato dal costosissimo (e oggi pericolante) Ponte di Calatrava – intende realizzare un luccicante megastore nel Fontego dei Tedeschi, là dove fino all’anno scorso c’erano le Poste centrali, e dove 500 anni fa si esibiva un giovane Giorgione (la Marca Trevigiana ha sempre esportato molto, a Venezia).
Il tutto mentre la vera tragedia veneziana latita sullo sfondo: Marghera, dopo la fine della chimica, vive da anni un presente incerto e un futuro grigio, nella neghittosità delle amministrazioni che dovrebbero bonificarla (prospettiva di per sé teoricamente vantaggiosa, visto che il territorio è comunque ben urbanizzato, con strade, fogne e ferrovie, a differenza della campagna di Tessera); e nell’attesa messianica della realizzazione di una piattaforma off-shore per navi petroliere e transoceaniche (sic), di cui proprio l’ex polo chimico sarebbe la base in terraferma (ma non si sa bene dove trovare i 1,5 miliardi per la realizzazione di questo mastodonte, tutti – sembra – a carico dei privati; anzi, nessuno sa nemmeno dove trovare i 100 milioni urgenti per la bonifica urgente). Il tutto mentre la Regione smarrisce perfino i soldi per finanziare il diritto allo studio nelle tre università del Veneto, ma è condannata dai giudici a pagare decine di milioni come risarcimento alle imprese per passati errori di progettazione o di valutazione (il lodo Astaldi; la metropolitana di superficie): tutte graziose eredità di Galan, il quale dopo tanti galloni maturati in Veneto è stato promosso a ministro, addirittura dei Beni culturali.
Di che stupirsi? La Legge speciale per Venezia, destinata a segnare lo sviluppo della città per anni, viene partorita in questi mesi dall’ineffabile veneziano Renato Brunetta, anch’egli professore di economia, e si fonderà sui medesimi principi fin qui illustrati: la sublagunare, il porto offshore, Veneto City, un turismo accanito senza se e senza ma, e per di più una soverchiante centralizzazione a livello nazionale, per la totale mortificazione delle autorità locali. A questo progetto il PD, tanto per non smentirsi, ha presentato non uno ma ben due disegni di legge alternativi, per di più radicalmente diversi tra loro, uno a firma di Andrea Martella e uno di Felice Casson (in molti si chiedono, oggi, cosa sarebbe successo se nelle Comunali del 2005 avesse vinto Casson invece di Cacciari: perse per una manciata di voti). Non conta nulla che perfino il presidente dell’Ente nazionale per il Turismo, Piero Marzotto, abbia definito Venezia “già iper-spremuta”; né tanto meno che l’Unesco, sollecitata da Italia Nostra, stia valutando se rimuovere Venezia dalla lista aurea dei siti “patrimonio dell’umanità” per gravi inadempienze nella tutela. Potranno forse contare qualcosa i comitati, che – unica luce di speranza in questo buio – sorgono vigorosi a far sentire le loro ragioni? Chi vorrà capire di più di tutto questo affare potrà consultare il sito benemerito e sempre battagliero di “Un altro lido” (in occasione della Mostra, si mobilitano già oggi alle 15) e quello di Italia nostra, dove tutti i problemi qui appena accennati sono discussi con dovizia di particolari e continui aggiornamenti.
Ecco: chi verrà a Venezia per vedere la Mostra del Cinema, o seguirà di lungi i fasti delle passerelle e delle dive, tenga in mente che si tratta dello stanco rito di un’isola violata, in una città sempre più affollata e sempre più spopolata, sempre più universale e sempre più impotente, sempre più accerchiata da soldi finti, sempre più chiusa in un futuro da triste attrazione.